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Il progettoIl dispositivoBruno Latour e il contesto attualeSuoni binauraliLegame corpo / emozioni

Il progetto

Lo spettacolo C-Ω-N-T-α-T-T-O presenta due personaggi in un mondo in cui il distanziamento fisico in un luogo pubblico è diventata la norma: non possiamo più stringerci la mano, baciarsi, spintonarsi, accarezzarsi o picchiarsi l’un l’altro. Come possono ancora esprimersi le emozioni?
Noi ci serviamo dei vincoli attuali e partiamo dalla nostra realtà sociale per
entrare in questo universo post-confinamento “contactless”. La distanza fisica è
il concetto: sublimiamo questo vincolo includendolo nel nostro lavoro teatrale.
Il nostro sistema non è altro che quello creato dalle misure sanitarie: la nostra vita quotidiana, il nostro spazio pubblico diventa ancora più significativo in questo contesto. Stiamo vivendo realmente tutto questo o è un film?

Le sfumature sono nell’ ambientazione; chi è il personaggio maschile: l’angelo custode, il fantasma del padre morto troppo in fretta, una voce interiore? La risposta appartiene a ogni spettatore.
Sara, il personaggio femminile, ha solo bisogno di un “traghettatore” per capire la paura dietro la rabbia: come attraverso la sua fobia del contatto, possa ritrovare la pace interiore. La morte ha colpito senza aver avuto il tempo di poter dire tutto quello che avrebbe dovuto essere detto. Oggi è l’ora del lutto. Ma soprattutto l’accettazione, il lasciarsi andare e quindi la costruzione del “dopo”.

Grazie ad una creazione sonora modellata su ciò che vediamo, aumentando così la percezione della realtà immediata, lo spettatore si calerà in questo grido interiore. Una voce, un suono una sensazione: io sono nella testa di un personaggio, ascolto i suoi pensieri intimi, ascolto il suo monologo interiore; quando si gratta la testa, ho la sensazione che gratti la mia, ascolto i rumori spazializzati come li sente personaggio, e quando quest’ultimo si copre le orecchie, tutto il mio essere è rinchiuso nella sua intimità.
Esperienza individuale o collettiva? Nelle cuffie/auricolari del pubblico,  attraverso i propri smartphone, è diffuso un flusso sonoro- disegno audio, testi, esperienze acustiche e suoni binaurali (la tecnica dettagliata è spiegata più avanti) – offrendo un legame inestricabile e poetico tra suono e recitazione degli
attori in carne e ossa. Questa creazione sonora e musicale permette un incontro
inatteso con i personaggi, percependo fisicamente i loro pensieri.

In questo continuo flusso tridimensionale di suoni, gli spettatori ascolteranno non solo i pensieri ma anche i dialoghi che saranno interpretati dagli attori senza emettere alcun suono. È questa Miscela di sfumature che rivelandosi tanto ironica quanto drammatica, attorno al pensiero detto e / o non detto, mette in discussione l’ordine naturale tra pensiero astratto e pensiero verbale fino ad esplorare i limiti intimi della trasgressione. Noi non vogliamo fornire una risposta o una morale, ma solo consentire agli spettatori di porsi questa domanda: possiamo essere in pace con le nostre emozioni quando non c’è un “contatto”?

 

 

INTERVISTA A SAMUEL SENÉ

Botta e risposta con la dott.ssa Hanna Lasserre, drammaturgo, esperta di scienze teatrali, Mercoledì 6 maggio 2020

 

Samuel Sené, come è nata l’idea per questo progetto?

 

Sono sempre stato un iperattivo, ho sempre bisogno di creare, continuamente, stimolare i miei collaboratori e spingerli senza sosta verso nuovi progetti. Quindi il periodo di “isolamento” è stato particolarmente difficile.

Io non voglio che l’unico modo per esercitare il mio lavoro sia attraverso le registrazioni, i film e i social media. Io sono un fervente sostenitore del lavoro «dal vivo», che si sviluppa in un’azione teatrale collettiva e realmente condivisa.

Partendo da queste considerazioni Gabrielle Jourdain, responsabile di produzione, mi ha lanciato un’idea-sfida che è immediatamente germogliata nel terreno del post-confinamento.

 

Parlaci di questo nuovo progetto «C-o-n-t-a-c-t», potresti dirci qualcosa di più sul suo sviluppo e sui motivi che ti hanno spinto a produrlo?

«C-o-n-t-a-c-t», è un’esperienza teatrale, una storia pensata per e con il distanziamento. Noi non possiamo andare in teatro, quindi, io non voglio adattare uno dei miei spettacoli esistenti imponendo agli attori di recitare distanziati di un metro uno dall’altro e obbligando il pubblico ad indossare una mascherina. Io non avevo nessuna voglia di elaborare lo spazio tradizionale del teatro secondo queste direttive, bisognava ripensare la pratica teatrale ma soprattutto combinare in modo funzionale forma e sostanza.

«C-o-n-t-a-c-t», è la storia di un mancato addio, di un lutto da affrontare, e quindi un parallelo tra una disgregazione familiare e la perdita di contatto della nostra epoca travagliata. Per sviluppare questo concetto abbiamo realizzato un dispositivo che permette a massimo otto partecipanti, per rispettare le disposizioni sanitarie e perché l’evento lo richiede, di ricoprire il ruolo di spettatori-pedinanti che non si limitano a vedere ma entrano nella testa dei personaggi.

«C-o-n-t-a-c-t» secondo me è lo spettacolo ideale per liberarci da tutte quelle emozioni che abbiamo vissuto durante la fase del “lockdown”, per riprendere tutti i legami familiari e di amicizia che sono stati interrotti a causa delle disposizioni sanitarie con cui inevitabilmente dovremo fare i conti ancora per parecchie settimane.

 

Tu sei il produttore, il regista, il direttore artisticocome riesci a conciliare tutti questi ruoli?

 

Da quando ho avuto quest’idea e l’abbiamo scritta, prodotta, lanciata, ho dormito molto poco! Per poter realizzare questa produzione un po’azzardata in così poco tempo, ho messo insieme una squadra molto unita e determinata. Nel giro di 48 ore una dozzina di persone si è appassionata al progetto: produttori, autori e compositori, ma anche tecnici, costumisti, responsabili della comunicazione, redazione, drammaturgia.

Normalmente per organizzare e gestire tutto questo occorrono dei mesi ma tutta la compagnia si è rianimata e ha permesso di portare a termine questo lavoro a tempo di record.

E io non ho «fatto altro» che coordinare e riservarmi il privilegio di dedicarmi alla messa in scena.

Piuttosto che separare le mie diverse identità, dividere i miei differenti percorsi professionali, io sono convinto che oggi il fatto di essere allo stesso tempo direttore d’orchestra, compositore, esperto di canto, regista, autore ma anche un docente universitario di matematica, costituiscano una risorsa più che un limite, nonostante siano tutte identità che cerco di armonizzare in una visione olistica, al servizio della creatività. Io voglio fare di queste diversità una forza, ed è l’impronta che sono riuscito a dare alla mia compagnia da parecchi anni.

 

Tu lavori con i tuoi collaboratori abituali, come organizzi il tuo gruppo e qual è il tuo metodo di lavoro?

 

Fin dall’inizio ho riunito i miei collaboratori creativi, tecnici, amministrativi in videoconferenza, per accordarci sul senso di questo spettacolo. All’inizio abbiamo tenuto delle riunioni quotidiane, suddivisi nei vari gruppi di lavoro. Io ho fatto da coordinatore, per riunire le idee degli uni e degli altri. Ascolto tutti e uso il mio «algoritmo interiore» per far emergere una linea estetica o strategica. Alcuni dei miei collaboratori pensano che io sappia esattamente dove voglio arrivare e che usi le competenze di ciascuno proprio dove possono esprimersi al meglio, anche se invece io di solito analizzo le proposte creative di ciascuno per rimetterle in gioco e farle riemergere in un lavoro collettivo. Quando arriva il momento di tirare le fila e prendere delle decisioni finali, di solito però mi affido al mio istinto.

 

Attualmente sei impegnato in altri progetti?

 

Certo, innanzitutto cercheremo di riprendere il prima possibile i progetti che attualmente sono in stand-by, previsti per il festival Off di Avignone, tre riprese e una nuova produzione! La compagnia Musidrama continuerà sull’onda del teatro multimediale, ovvero andando oltre la pluridisciplinarietà: cercando costantemente il mezzo per raccontare storie usando tutti i media che fanno parte dei miei linguaggi: la parola, la poesia, ma anche la musica, la danza, la scienza…

Noi abbiamo avviato molte produzioni nell’ambito della ricerca del teatro musicale contemporaneo come ad esempio Contretemps che sarà presentato ad Avignon nel 2021, ma anche un trittico sulle metafore faunistiche, per continuare quello che ho cominciato due anni fa con Lhomme de Schrödinger,

che non è che la prima parte, con Lhomme de Buridan e Lhomme de Pavlov.

Stiamo anche producendo dei progetti musicali, relativamente all’orchestra Musidrama, e nello specifico una serie di concerti – conferenze sul repertorio del «musical» internazionale visto attraverso una lente politica e sociale, al di fuori dei pregiudizi del semplice intrattenimento.

Inoltre stiamo cercando di ottenere le licenze per poter attualizzare il repertorio del musical anglo-americano e adattarlo al teatro francese dei giorni nostri.

 

Abbiamo ascoltato il discorso del Presidente Emmanuel Macron che ci ha parlato della sua visione della cultura nel contesto attuale. In quanto artista e direttore di compagnia, cosa ne pensi?

Qual è oggi lo scopo dell’arte?

 

A questo proposito, io non posso impedire di riunire gli opposti che ci sono in me. Una parte di me, da quando faccio questo lavoro, cerca innanzitutto di raccontare storie, di portare avanti un processo narrativo usando la multimedialità in funziona della catarsi teatrale, per favorire l’atto liberatorio delle nostre emozioni, positive o negative, e poter captare tutte le vibrazioni belle ed estetiche che si espandono nell’universo immaginario. È il mio primo obiettivo. Più passano gli anni e più si fa forte anche un secondo obiettivo, quello a cui punta la mia arte nella società contemporanea ovvero i legami sociali. Fa parte della mia natura poliedrica e credo che creare legami sociali sia insito nel gesto artistico. Se dovessi incasellare le tematiche che io affronto, si può dire che principalmente siano orientate verso la scelta e il cambiamento. Ormai da diversi anni tutte le mie produzioni non parlano che di questo. Io desidero dimostrare, attraverso la mia arte, che in ogni momento cruciale della nostra vita, sia necessario fare un passo indietro per analizzare la propria condizione attraverso la parola e le emozioni. Un cambio di prospettiva spesso è sufficiente per prendere coscienza in modo completo della nostra umanità, sia individuale che collettiva, familiare o sociale. Io cerco di evidenziare questo «grande passo» nel nostro pensiero istintivo e razionale.

Io credo che l’arte abbia la funzione di traghettarci verso l’altrove, di farci uscire dagli schemi per cercare di essere finalmente completi.

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